"Le radici di Serre Uberto: Storia e Tradizioni da scoprire!"
Marisa Bessone si racconta. :
Sono nata a Salubert nel 1946, una piccola borgata di montagna dove la neve era l’elemento principale del paesaggio e della vita.
Ne scendeva così tanta che al mattino il paese si svegliava come sotto una coperta.
Non c’erano gli spazzaneve di oggi.
C’era invece la Roida: al suono di una vecchia trombetta militare, gli uomini delle frazioni si radunavano con le pale per liberare le strade.
Da Salubert partivano mio padre, che tutti chiamavano Tumà d’Besun, e altri uomini con nomi che suonano come un canto antico: Pin d’Bep, Giuan e Battista dle Guie, Richetu d’Peot, Giuanin d’Batisten.
Era il 1951, ed ero l’unica bambina del paese.
Ogni mattina, mio nonno Pinot d’Bessunot mi accompagnava fino all’acquedotto. Di lì, continuavo da sola. Mi facevo coraggio pensando al nonno Miceu dle Masse, che mi aspettava oltre il Cumbalot, un punto di passaggio ghiacciato.
Con il gelo che mordeva, avevo imparato a trasformare la mia cartella in uno slittino.
La scuola era a Serre, dove frequentavo la prima elementare, la mia maestra si chiamava Adelina Mobilia.
La cartella di cartone me l’avevano regalata a Natale, insieme a tre mandarini e una matita: un piccolo lusso per quei tempi.
Con il gelo che mordeva, avevo imparato a trasformare la mia cartella in uno slittino.
La scuola era a Serre, dove frequentavo la prima elementare, la mia maestra si chiamava Adelina Mobilia.
La cartella di cartone me l’avevano regalata a Natale, insieme a tre mandarini e una matita: un piccolo lusso per quei tempi.
La mia giornata finiva giocando con Bibitta, la capretta che sembrava capire ogni cosa, e con una gallina che avevo addestrato a salire le scale, avevamo anche un cane e un gatto, la nostra piccola compagnia.
Ma la montagna stava già cambiando.
Nel 1953 le famiglie iniziarono a partire: chi verso Torino, chi verso i paesi vicini.
La costruzione della seggiovia segnò l’inizio di una nuova epoca.
Non si tagliava più il fieno, non si seminavano più le patate né la segale.
La vita nei campi lasciò il posto ad altro: il latte, il formaggio, le prime attività legate al turismo. Anche noi andammo via, a Torino, dove i miei genitori lavorarono in fabbrica.
Ma ogni estate tornavamo a Salubert.
C’erano ancora tracce del passato: Nuccio d’Peot, con le sue mucche che portavano vita ai prati, e i vecchi rimasti, come Vittoria e Tumà del Cap.
La montagna cambia lentamente, ma cambia, e intanto custodisce i suoi ricordi.
Adesso, quando torno, rivedo ogni cosa: la bambina che ero, con la cartella-slivola, i giochi dei miei figli piccoli, i giorni del mio matrimonio. Ogni passo è intriso di memoria. E presto lascerò che siano le mie nipoti, Nicole e Virginia, a camminare per questi sentieri, perché continuino la storia di una famiglia e di un luogo che non può essere dimenticato.
Marisa Bessone